2021


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Le fotografie

– In alto, in piccolo, il monastero di Fonte Avellana.

– L'abbazia di Santa Maria di Sitria, foto di P.I.M., 2021.

– San Romualdo fondatore di Camaldoli, secolo XVIII, diocesi di Fabriano Matelica, da Beweb.

– Il sacro eremo di Camaldoli in una incisione del secolo XVIII (part.), da Camaldoli.it.

– Due stemmi a mosaico degli eremiti camaldolesi di Monte Corona posti presso l'ingresso di San Girolamo di Pascelupo, foto di P.I.M., 2021.

– L’eremo di San Girolamo di Pascelupo visto dal basso, foto di P.I.M., 2021.


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I MONASTERI DI SAN ROMUALDO nelle Alte Marche


San Romualdo degli Onesti nacque a Ravenna tra il 951 e il 953 e morì a Valdicastro di Fabriano il 19 giugno 1027. Cercò, durante la sua vita, quella solitudine che sentiva necessaria per esprimere la propria fede e la devozione verso Dio.

Per trovarla viaggiò senza sosta attraverso l’Italia in luoghi nascosti e selvaggi, percorrendo vie antiche quasi del tutto dimenticate.
Verso il 1025 fondò a Camaldoli un eremo con cinque celle e un ospizio con un monaco e tre conversi per dare “caritatevole refezione” ai pellegrini. Non vide però crescere in importanza e fama quello sperduto luogo montano che poi avrebbe dato il nome alla congregazione benedettina da lui iniziata e condotto a costruire in Italia i monasteri più insigni.

Di fatto, fu solo nelle Alte Marche il santo mise in pratica in modo più genuino la sua visione di vita claustrale, essendo il territorio poco popolato ma conforme alle sue aspirazioni. Vi trovò alture scoscese, boscaglie arrampicate sui sassi, scarse acque, e lo sperimentò aspro e faticoso, gelido d’inverno e torrido d’estate.
Ricordano il suo itinerario i monasteri rimasti, le rovine di quelli disfatti dal tempo o la semplice toponomastica: ad esempio Poggio San Romualdo, Acquarella a San Vicino, San Salvatore in Valdicastro, Sant’Elena di Vallesina, San Vincenzo al Furlo, il cui cenobio era pieno di religiosi già nel 970.


In modo esemplare ne dà testimonianza Sitria, alle falde del monte Strega, tra il monte Catria e il monte Cucco. In questo luogo, intorno al 1014, Romualdo fondò sette celle. Dopo poco tempo vi aggiunse un piccolo monastero con una chiesa che prese il nome di abbazia di Santa Maria. E il luogo gli piacque talmente che vi dimorò sette anni durante i quali pregò e digiunò nel silenzio, in compagnia di devoti che ammaestrava “tacente lingua praedicante vita”. Nel medioevo Sitria divenne un’istituzione con una florida amministrazione e acquisì vasti possessi e giurisdizioni su molte chiese del territorio. Per contrappasso suscitò la cupidigia degli alti prelati che nel 1451 ne ottennero i beni sotto forma di commenda, titolo allora comune nella Chiesa. Con il tempo l’abbazia decadde e in epoca napoleonica fu rilevata dal monastero di Fonte Avellana. Più tardi, con la soppressione italiana del 1866-67, passò ai privati. La chiesa divenne addirittura un fienile. Oggi è stata recuperata e valorizzata come risorsa della zona e ricordo di Romualdo e dei camaldolesi.

Il santo ravennate, con il suo gran desiderio di solitudine e di vita contemplativa, probabilmente fu anche l’ispiratore dell’eremo di Santa Croce di Fonte Avellana, sotto il Catria, ricordato nel Paradiso (XXI, 106-111) da Dante, che dovette visitarlo nel 1318 quando era ospite dell’amico letterato Bosone di Gubbio. L’edificio venne costruito circa nel 980-1000 con pietre aspre locali in un luogo di “avellani”, cioè di noccioli, dai quali prese il nome. Ricevette poi un notevole impulso da San Pier Damiani, figura di spicco della Chiesa medievale.
Questo religioso in realtà non ebbe una vita facile: orfano, fu abbandonato dalla madre per i troppi figli e per la povertà. Ma, preso in custodia da un fratello, con perseveranza, riuscì a laurearsi in filosofia e retorica a Parma. Nel 1034 si fece monaco a Fonte Avellana e qui si dedicò alla preghiera, al digiuno e soprattutto allo studio. Nel 1042 a San Vincenzo al Furlo raccolse le testimonianze dei monaci e scrisse la sua opera più nota: la “Vita Romualdi”. Nel 1057 compose per i confratelli la “Regula vitae eremiticae”. Lo stesso anno fu nominato cardinale vescovo di Ostia da Stefano IX e da allora, accettando per obbedienza, si impegnò strenuamente in pubblico per combattere la corruzione della Chiesa. Fu poi designato come legato apostolico e, alla fine di una missione, il 22 febbraio 1072, passò a miglior vita a Faenza, sulla strada del ritorno verso l’eremo prediletto della sua giovinezza, Fonte Avellana.
Questo monastero ebbe da allora tanta notorietà che nel 1325 si trasformò da eremo in un monastero autonomo a capo della congregazione detta “avellanita”. Nel 1392 passò in commenda e nel 1569 fu rilevato dai camaldolesi. Subì come gli altri le soppressioni napoleonica e italiana e ritornò nel 1935 ai camaldolesi che oggi lo mantengono come centro di studi, accoglienza e farmacia.

Solitario e quasi inaccessibile, segnò il passaggio di Romualdo e dei suoi monaci con il loro ideale anche il caratteristico San Girolamo, forse in origine fortezza dei Templari sulla costa orientale del Monte Cucco presso Pascelupo.
Qui, in una spelonca abitò per primo e morì santamente nel 1337 il beato eremita di Sitria Tommaso da Costacciaro. Nel 1520 vi costituì un eremo il beato Paolo Giustiniani fondatore dei camaldolesi del ramo di Monte Corona (Umbertide). Il luogo ospitò da allora una comunità di uomini che vivevano in modo frugale, sempre soli e in silenzio, con la deroga a parlare unicamente due volte alla settimana quando uscivano dalla stretta clausura. Con il tempo, però, l’eremo fu soggetto ai predoni e alla rovina a causa dell’isolamento e della pericolosità del monte. Divenne un rifugio per gli abitanti sfollati dei luoghi vicini e di Fabriano durante la seconda Guerra Mondiale. Ma continuò ugualmente ad ospitare degli eremiti: l’ultimo fu don Mariano Kizek originario della Slesia, deceduto nel 1974. Dopo di lui, nel 1981, la struttura fu restaurata e, dal 1992, trasformata in una casa di preghiera privata sempre dei camaldolesi del ramo di Monte Corona.

Paola Ircani Menichini, 13 novembre 2021.
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